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PRATO: Malato di Sla 11 ore in barella al pronto soccorso, Mugnai (FI): «Inaccettabile l’assenza di protocolli di accesso specifici»

«Chiedo come si possa definire un paese civile, quello in cui non c’è una cura e un’attenzione particolare per tutti i malati ma in particolare per chi già soffre per una grave patologia»: è un’amara riflessione quella che Chiara Gori, figlia di un malato di Sla, affida alla lettera aperta con cui denuncia quanto accaduto al suo papà che il 15 novembre scorso alle 6 ha avuto necessità di essere trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Santo Stefano a Prato. E lì è rimasto per 11 ore su una lettiga, premurosamente seguito dagli operatori che però non avevano un posto letto per lui che, nel frattempo e mentre i suoi familiari si laceravano nell’impotenza, si consumava dai dolori strazianti nel suo corpo-prigione.

La signora Gori ha inviato la sua testimonianza tramite email ad alcune redazioni, all’assessore regionale alla salute Stefania Saccardi, al presidente della commissione sanità del Consiglio regionale Stefano Scaramelli e al suo vice Stefano Mugnai (capogruppo di Forza Italia). Ed è proprio Mugnai ad annunciare, indignato, un’interrogazione che chiarisca la dinamica di quanto accaduto già per lunedì mattina alla riapertura degli uffici: «Quanto accaduto a questo signore e ai suoi familiari è inaccettabile sotto ogni profilo: umano, etico, politico, sanitario. Il racconto di questa figlia restituisce strazio e impotenza che purtroppo non rappresentano un caso isolato. Che l’ospedale di Prato sia nato sottodimensionato è ormai noto a tutti, e le promesse di ampliamento finora sono rimaste tali. Sospettiamo che sarà così a lungo, poiché la sanità regionale disegnata dalla riforma del 2015 non va nel senso dell’implementazione dell’offerta sanitaria: l’opposto».

Ma qualcosa, in attesa di bandi gare e cantieri, secondo Mugnai si può ben fare: «Chiediamo che si definiscano protocolli di accesso specifici per i malati già resi fragili da altre patologie – spiega – i quali non possono sostenere gli stessi percorsi di tutti gli altri. Anche in assenza di acuzie, queste persone sono già da considerarsi acute in sé per sé e chi opera il triage deve poter avere uno strumento per indirizzarli in una sorta di corsia preferenziale. Questo possiamo e dobbiamo farlo. Altrimenti la signora Chiara ha ragione: questa sanità modello toscano che si dimentica dei più fragili non è da paese civile».

Di seguito il testo integrale della lettera aperta pervenuta tramite email alle 13.34 di oggi

Buongiorno

sono Chiara Gori, figlia di un malato di Sla e scrivo nella speranza che
la mia indignazione venga raccolta e faccia riflettere chi di dovere
sulle condizioni di coloro che non hanno nemmeno la forza di far sentire
la propria voce.
Mio padre è affetto da questa malattia che nel corso di sette anni lo
ha reso progressivamente prigioniero del proprio corpo, completamente
non autosufficiente e costretto ad affidarsi alle cure e alle premure di
chi lo circonda.

Un malato di Sla, purtroppo, pur avendo questa grave patologia, non è
immune da tutte le altre malattie infettive più comuni. Pertanto può
accadere che abbia bisogno di immediate cure per il sopraggiungere di
una “banale” bronco polmonite con pleurite, come nel caso specifico è
successo a mio padre pochi giorni fa.
Quando ciò accade, ci si augura che l’essere umano, già profondamente
provato dalla sua sofferenza, sia fisica che psicologica, riceva un
intervento immediato che lo possa sollevare da ulteriori inutili
sofferenze.
Questa premessa è necessaria per spiegare che purtroppo il giorno
15.11.2017 alle 6 circa di mattina mio padre è stato trasportato con
l’ambulanza del 118 al pronto soccorso dell’ospedale Santo Stefano di
Prato, per un forte dolore toracico al lato sinistro, all’altezza del
cuore, accompagnato da nausea.
Una volta scongiurato prontamente che non si trattasse di un problema
cardiaco, mio padre è stato in attesa per 11 interminabili ore prima di
ricevere cure appropriate per un’infezione polmonare. Le ore sono
trascorse nei locali adiacenti al pronto soccorso, su una lettiga.

Quest’attesa gli ha procurato inutili dolori fisici e ha reso la sua
permanenza un calvario fatto di lacrime e lamenti estenuanti.
Mia madre è stata a fianco di mio padre per tutto il tempo. Una donna
già provata dalla sofferenza – visto che 24 ore su 24 è sempre a
fianco di mio padre – ha dovuto, in questa circostanza, anche subire
l’impotenza di non poter fare niente per suo marito.
Mi preme sottolineare che in tutta questa situazione, sia i medici che
il personale infermieristico che si sono occupati di lui, sono stati
presenti professionali e disponibili, ma che la problematica,
riguardante la mancata disponibilità di posti letto , era indipendente
dalla loro volontà di trasferirlo nel reparto più indicato alle sue
necessità.

Mio padre ha ricevuto le prime cure e una sistemazione dignitosa alle
ore 17 circa, quando è stato spostato nel reparto di medicina seconda
dell’ospedale stesso, dove tengo a sottolineare che viene attualmente
seguito nella maniera piu’ minuziosa da persone splendide , partendo dal
primario e passando a tutti i medici e gli infermieri che si occupano
dell’intero reparto.

Chiedo come si possa definire un paese civile, quello in cui non c’è
una cura e un’attenzione particolare per tutti i malati ma in
particolare per chi già soffre per una grave patologia e non esista un
protocollo specifico che garantisca ai malati di Sla di non subire tutto
questo affinché non si aggiunga sofferenza a sofferenza a queste
persone gia’ fragili e con una malattia che risulta una lenta ed
inesorabile condanna a morte.

Spero che le mie parole vengano ascoltate da chi può decidere di
migliorare questa situazione in modo che chi già sta soffrendo, come
mio padre, non debba mai subire questo calvario.

Chiara Gori

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