In una nota rilasciata sul suo profilo Facebook l’onorevole Paolo Zangrillo ha affermato: “La presenza del sostituto procuratore nazionale Antimafia Nino Di Matteo alla kermesse Sum#2 ad Ivrea, organizzata dai vertici del Movimento Cinque Stelle è una scelta gravissima, che pregiudica nel profondo l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura nel suo insieme. Un magistrato che sceglie un palco politico, ripeto politico, per esternare le sue posizioni (anche su processi ancora in corso o sui quali sono ancora in via di definizione le indagini) manca a quel ruolo di divisione dei poteri che sta alla base di qualsiasi democrazia. Mi domando dove sia il Csm quando c’è da prendere provvedimenti”.
“Su una cosa però ha ragione il pm Nino di Matteo la Giustizia ha la necessità di una riforma copernicana. Al primo punto di questa riforma, dopo il suo soliloquio applaudito dal pubblico pentastellato, deve esserci l’impossibilità per qualsiasi magistrato di intervenire a manifestazioni di carattere politico, come privato cittadino o ancor peggio in qualità del ruolo che lo stesso riveste nella magistratura. Da troppo tempo, in Italia, alcuni esponenti della magistratura confondono i piani istituzionali di questo Stato, arrivando a pensare che tra le aule di Tribunale e il Parlamento vi sia una sorta di porta girevole. Una porta pronta ad essere valicata, a seconda della convenienza, per solleticare le proprie ambizioni di ribalta”.
L’attacco inaudito contro il presidente Berlusconi esternato da Nino Di Matteo sul palco di Sum#2 ha il sapore di chi, non riuscendo a provare nelle Aule giudiziarie collusioni e concorsi esterni, si accontenta di un palco partitico per infangare l’onorabilità dei propri indiziati. Anche la memoria di eroi quali Borsellino e Falcone viene stuprata per avvalorare le proprie parole. L’Italia non ha bisogno di questi tipi di magistrati, che peraltro da anni sono la principale causa del crollo dell’indice di fiducia degli italiani nella Giustizia. Se Nino Di Matteo o altri vogliono fare politica si candidino ma prima restituiscano i compensi ricevuti negli ultimi dieci anni dallo Stato, visto che le campagne elettorali si pagano: e le parole di Nino Di Matteo fanno pensare che alcune indagini siano figlie più della volontà di aprirsi gli spazi per una candidatura o per ottenere una progressione di carriera se il Governo sarà del colore desiderato, piuttosto che risultato di quella sete di giustizia che noi tutti auspichiamo per far crescere il nostro Paese.
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